Smart_Working_le_riflessioni_di_Si_Italia

Smart Working: le riflessioni di Si Italia

Stamattina, leggendo “Il Sole”, mi sono imbattuto in un articolo dal titolo “Più benessere e produttività solo per i veri smartworker”.
In sintesi, da una ricerca dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, emerge che, se smart working deve essere, che smart working sia, perché le soluzioni di facciata, come lavorare semplicemente da casa, col tempo, mostrano di funzionare sempre meno in termini di produttività e rivelarsi dei boomerang per la motivazione dei team.

Se l’azienda si ferma a dislocare diversamente la postazione di lavoro, senza adottare formule complete di riorganizzazione che riguardano flessibilità di luogo, orari e degli spazi e lavoro per obiettivi, i lavoratori hanno un beneficio in termini di work life balance, ma non in termini di benessere relazionale e organizzativo e alla lunga, c’è un impatto negativo sui risultati.

Il messaggio emerge chiaramente dalla ricerca con cui l’Osservatorio del Politecnico, insieme a Doxa, ha indagato il benessere di un campione di mille lavoratori di cui 269 smart worker, 208 lavoratori da remoto non smart e 523 lavoratori in sede. È emerso che ha un elevato livello di benessere relazionale il 33% degli smart worker, il 18% dei lavoratori da remoto non smart e infine il 25% di chi è in presenza. Indagando il benessere psicologico, le quote diventano il 42% per i primi, il 29% per i secondi e il 32% per i terzi.

Chi semplicemente lavora da casa o da luogo diverso dalla sede, senza che vi sia una vera e propria organizzazione agile, ha le percentuali più basse anche rispetto ai lavoratori in sede.
La mancanza di benessere relazionale e psicologico si ripercuote anche sui livelli di engagement: la motivazione è più elevata tra gli smart worker, dove il 13% si dichiara full engaged. Leggermente inferiore, al 12%, è la quota tra i lavoratori in presenza, mentre per chi lavora semplicemente da casa solo il 6% è pienamente ingaggiato. Questo significa che “una volta intrapresa una certa strada, bisogna proseguirla fino in fondo.

Non ci si può fermare allo smart working di facciata perché altrimenti si crea un modello organizzativo disallineato che alla fine diventa un boomerang, a partire dall’accumulo di stress, malessere e perdita del senso di appartenenza delle persone all’organizzazione: questo va a discapito delle prestazioni”.

Dalla ricerca del Politecnico emerge ancora che per ciò che attiene alla grande impresa, la quota di chi ha accordi o policy è al 91%. Se consideriamo il modello completo, allora, si scende al 65%, la grande maggioranza dei casi. Non è così nelle Pmi dove la quota scende al 29%. Il fatto di aver scelto la strada dello smart working senza ritorno traspare anche negli interventi e investimenti sugli spazi per la nuova organizzazione: nella grande impresa riguardano oltre l’80% delle aziende, se consideriamo anche i progetti futuri. Al contrario non c’è interesse a realizzarne nel 39% delle Pmi.

Avere impatti sulla motivazione, sull’identità e sulla produttività però chiede tempo, investimenti e piani completi. È una situazione che dovrà evolvere, tenendo conto che nel nostro ordinamento lo smart working, non è un diritto soggettivo, ma un accordo tra lavoratori e impresa che cercano soluzioni per migliorare il benessere organizzativo.

Articolo scritto da Mario Cervini, CEO Si Italia